Articolo di Antonio Righini apparso sul COMMERCIALISTA VENETO – Numero 226/2015
Dedicato a quegli imprenditori, operatori o professionisti che vogliono l’impossibile e si chiedono: perché no?
Scrivere una breve guida sull’argomento è come voler stilare la lista delle dieci torte più buone.
Io amo la cioccolata e, quindi, metterei al primo posto la torta sacher.
D’estate, però, preferisco una buona torta gelato per combattere il caldo!
Se il trust, come la torta di mele, va bene per (quasi) tutte le stagioni, ogni situazione familiare esige la propria torta, ossia un trust pensato ad hoc.
Questa guida, dunque, prendetela per quello che è: una breve riflessione (un po’ provocatoria) su un tema tanto articolato e complesso come la continuità di un’azienda familiare.
PARTE I: per il disponente (chiunque lui sia)
1) Perché continuità aziendale e non passaggio generazionale. È solo una questione terminologica?
Assolutamente no, anzi. Preferiamo parlare di “continuità aziendale” e non di “passaggio generazionale”, innanzi tutto, perché per alcuni questa ultima espressione “porta male”. Ma anche perché (e soprattutto) parlare di continuità aziendale consente di andare subito al nocciolo della questione: la sopravvivenza all’imprenditore delle sue creature, ossia tanto dell’azienda… quanto della famiglia.
2) Se non hai le idee chiare ovvero se non sei convinto della continuità aziendale (di tipo familiare), cosa è meglio fare?
In questi casi è meglio cedere l’azienda (e passare la mano), perché la continuità aziendale (di tipo familiare) presuppone una pianificazione almeno per il medio termine. E in men che non si dica, senza rendersene neppure conto, è troppo tardi…
3) Ma perché il trust?
Per tante ragioni, tra cui:
a. perché conviene. I costi sono certi, essendovi un bonus fiscale, previsto dal nostro legislatore in recepimento di una raccomandazione comunitaria, promulgata per facilitare la successione d’impresa. In tal modo si incoraggiano gli imprenditori a prepararsi a tale evento, fornendo loro un contesto finanziario di aiuto (e ecco quindi il bonus fiscale), così anche da evitare i costi sociali derivanti dal fallimento della successione dell’impresa non opportunamente programmata per tempo;
b. perché, alla fine, per l’imprenditore è sempre una questione di soldi e, quindi, riuscire (ad un costo irrisorio, senza entrare in tensione finanziaria) a definire con successo la propria pianificazione successoria è decisamente una cosa buona (ovviamente, per quanto riguarda l’azienda, evitando al figlio secondogenito maschio il viaggio per le crociate e alla figlia femmina il convento come da medioevale memoria).
PARTE II: per il trustee (chiunque lui sia)
4) In quale modo deve gestire il trust?
Indipendentemente da quanto previsto nell’atto istitutivo del trust (o nella lettera dei desideri), è compito del trustee gestire la continuità aziendale (di tipo familiare) attraverso un programma condiviso con il disponente, nonché con il guardiano (se presente), a cui chiedere consiglio, evitando così situazioni conflittuali con i beneficiari.
5) Ma in che modo il trustee si deve porre nei confronti dei beneficiari?
Il trustee è una specie di sovraintendente, che ha delle competenze specifiche per la gestione dei “ragazzi”, non sempre senza imbarazzo e più spesso come loro senior, con l’indulgenza che si deve a un erede in pectore.
PARTE III: per i beneficiari e (pure) per il disponente (ancora!)
6) Ma allora, perché proprio il trust per la continuità aziendale (di tipo familiare)?
Non è ancora chiaro? Perché così facendo si separa la famiglia dall’azienda, eliminando le componenti affettive, in considerazione del fatto che le logiche della famiglia sono diverse dalle logiche dell’impresa, come l’esperienza della maison Rothschild, ad esempio, ci insegna.
7) Ho capito. Ma il trust è rischioso?
No, in quanto tre cose sono certe nella vita: la morte, le tasse e il trust.
A differenza degli altri strumenti forniti dall’ordinamento giuridico, le regole non possono cambiare (come ad esempio è accaduto con le polizze unit linked) e non sono necessari immediati esborsi di ingenti quantità di denaro (come ad esempio nel patto di famiglia, per liquidare un familiare).
8) Whatever works – basta che funzioni?
Assolutamente no, perché l’imprenditore vuole sapere i costi di questa pianificazione per la famiglia e vuole conoscere le dinamiche future di crescita e di sviluppo della sua azienda con conseguenti ricadute per la famiglia. Per questo non si può rinunciare ad un professionista che ci aiuti!
9) Facciamo il trust per il fisco, la fiscalità o per la leva fiscale?
Si, in quanto attraverso lo strumento trust, come detto in precedenza, potremmo usufruire di un bonus fiscale che oggi (A.D. 2015) c’è. In futuro non è detto…
No, in quanto ciò che è veramente importante (e deve essere compreso) è la necessità di pianificare, per garantire la continuità aziendale e non penalizzare i nostri figli e le loro chances nella vita.
Ni, in quanto attraverso lo strumento trust e la sua fiscalità si potrà procedere verso una managerializzazione dell’azienda familiare, necessaria per competere sul mercato globale.
10) Facciamo il trust per i figli così da assicurare un posto di lavoro? O sarebbe meglio seguire l’esempio di Bill Gates e “diseredare” i figli?
Tanto si e tanto no ma sono necessarie delle spiegazioni.
Sicuramente facciamo il trust per assicurare un posto di lavoro ai nostri figli, non conoscendo quale posto saranno in grado di occupare (amministratore delegato o fattorino?), ma sicuramente non vogliamo che i nostri figli siano dei mollaccioni “figli di papà”.
E per questo il trust è la soluzione ideale per raggiungere questi scopi, senza diseredare i figli, congelando di fatto l’azienda (se un erede manca) e riservando in ogni caso alla famiglia la nomina di un manager per la continuità aziendale.
(to be continued)