Una scusa per parlare di soldi

Una scusa per parlare di soldi.

Articolo di Antonio Righini apparso sul COMMERCIALISTA VENETO – Numero 225/2015

Parliamo di soldi!
Parliamo di regole!
Parliamo di passaggio generazionale!
No, preferisco parlare di continuità aziendale di tipo familiare.
Parliamo quindi di TRUST ma parliamo sempre di soldi.
Due preliminari chiose:
prima chiosa: il nostro imprenditore italiano che sia veneto, lombardo o emiliano non solo è un bravo imprenditore ma in realtà è un fenomeno di imprenditore.
Infatti lo sforzo per essere un bravo imprenditore deve essere considerato nettamente superiore a quello che l’analogo imprenditore inglese, tedesco o americano pone in essere.
La burocrazia, i sindacati per non parlare dell’elevata imposizione fiscale hanno raggiunto un livello intollerabile così da rallentarlo, ma lui instancabile raggiunge i risultati che in altri paesi sarebbero strabilianti.
Non per niente si dice che in Italia un Steve Jobs non avrebbe mai avuto successo ma non che in Italia non sarebbe o è nato!
seconda chiosa: il trust è come il leasing, agli italiani piace.
Mi ricordo infatti appena laureato, in studio prima si parlava della locazione come contratto derivato dall’istituto romano della locatio conductio e immediatamente dopo ci siamo messi a parlare della locazione finanziaria (perché parlare del leasing non si poteva).
La verità è che allora il leasing come ora il trust piace, e piace così tanto che allora abbiamo addirittura inventato degli istituti giuridici che prima non esistevano (la locazione finanziaria) così come ora abbiamo immediatamente ratificato e recepito nel nostro ordinamento la Convenzione dell’Aia sulla legge applicabile ai trust.
Detto questo, perché parliamo di passaggio generazionale ovvero di continuità aziendale (di tipo familiare) e per conseguire questo obiettivo è preferibile il trust invece di una donazione o di un patto di famiglia?
Ebbene, io vedo il nostro bravo imprenditore come il bravo tennista, il bravo giocatore di pallacanestro o il bravo calciatore: in comune hanno un’ossessione e in particolare un’ossessione di eccellere.
Ma per raggiungere questi obbiettivi sono come quei discesisti che scendono ai 200 orari: sono così bravi nel loro lavoro che non puoi chiedergli di interessarsi dei dettagli, si concentrano sui loro punti di forza.
E lo stesso succede per i nostri imprenditori di successo: qualcuno per loro si deve interessare dei dettagli.
C’è da chiedersi infatti, per quale motivo una persona dovrebbe concentrarsi sui suoi punti deboli con notevole spendita di energie per passare da un 2 a un 3 in pagella, invece che concentrarsi sui suoi punti di forza con la stessa spendita di energie, per passare da un 7 a un 9 in pagella.
La risposta è ovvia ma non deve essere confusa con un’allergia dell’imprenditore a pianificare la sua successione (ovviamente si tratta di una semplificazione visto che spesso si parla altresì della paura di invecchiare, di accentramento della gestione e di un attaccamento all’impresa da parte dell’imprenditore di successo).
Infatti, se è vero che può anche esserci questa allergia, io ritengo sia più un dettaglio che l’imprenditore non vede o a cui non pensa per mille motivi e di cui si devono preoccupare chi è delegato a occuparsi dei dettagli.
Sarà quindi compito del bravo professionista, individuare una risposta che susciti l’interesse del nostro imprenditore di successo e per questo io sono dell’idea che debba parlare di soldi.
E allora, con il dovuto garbo, da dove iniziamo?
Direi di iniziare dalla volontà paterna: infatti la volontà di un padre in vita viene rispettata maggiormente rispetto a una decisione presa in osservanza della legge.
È noto infatti che la volontà paterna è o dovrebbe essere il collante della futura generazione mentre l’osservanza della legge sulle successioni in mancanza di disposizioni del de cuis sono fonti di litigiosità: litigiosità di cui beneficiario è lo Stato che ha pianificato dettagliatamente la mancata pianificazione generazionale tanto che non sono infrequenti casi in cui delle famiglie si distruggono per l’eredità.
E quindi per una pianificazione generazionale è meglio la soluzione classica (testamento, donazione o patto di famiglia) o la soluzione trust?
Sul punto permettiamoci una risata essendo ovvia la risposta.
In realtà, senza entrare nei dettagli tecnici, i freddi numeri ci dicono in ordine alla soluzione classica (testamento, donazione o patto di famiglia) che in Italia, il testamento ovvero l’atto che consente di disporre almeno di una parte del proprio patrimonio, infatti “non va”1 così come del patto di famiglia se ne parla solo nei seminari di formazione mentre forse le donazioni sono fatte con tuttavia elevati rischi di cause legali.
Vince quindi per abbandono il trust?
No, perché venendo dalla cultura anglosassone ed essendo regolato da leggi in inglese, il trust in Italia incontra una certa diffidenza, diffidenza che sarebbe forse superata da un contratto di affidamento fiduciario regolato da leggi italiane.
Si, perché:
l’esenzione fiscale in presenza di una continuità familiare è sicuramente motivante per l’imprenditore di successo e inoltre a differenze degli altri strumenti finanziari o legali le regole non possono cambiare (ad esempio le polizze unit linked) ovvero non sono necessarie esborsi di ingenti quantità di denaro (ad esempio nel patto di famiglia per liquidare un familiare);
così facendo si separa la famiglia dall’azienda eliminando le componenti affettive nei suoi confronti in considerazione del fatto che le logiche della famiglia sono diverse dalle logiche dell’impresa con tutto quanto ne deriva;
dobbiamo considerare che l’imprenditore di successo è tanto un capitano coraggioso tanto un pater familas e per questo la scelta del trust permette di congelare l’azienda riservando alla famiglia la nomina di un manager per la continuità aziendale.
Infatti, seguendo questa impostazione l’imprenditore può comunque trasmettere il suo zaino di esperienze maturate ai suoi figli che così nella corsa della vita scatteranno meglio preparati anche se non dovessero assumere l’incarico di erede.
Da ultimo una nota di contorno: se l’imprenditore di successo non è convinto né di una soluzione classica per la continuità generazionale e nemmeno della soluzione trust, potrà seguire l’esempio di Bill Gates, il fondatore di Microsoft, che ha fatto sapere da tempo che non lascerà i suoi 56 miliardi di dollari ai figli ma li spenderà per sconfiggere la povertà globale2 oppure l’esempio di Manini, fondatore di FAAC3, che in assenza di eredi diretti ha lasciato tutto alla Curia di Bologna.
D’altra parte, i soldi di questi imprenditori sono loro perché loro li hanno guadagni e conseguentemente sentono di poter farne quello che vogliono.
Ma questo è un altro film!
Coming soon

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